Barre, orizzonti da valicare, astrattismo in pittura e metalli nella scultura. È il mondo di Davide Leoni, artista a tutto tondo che con le sue opere continua a suscitare l’interesse della critica nazionale ed internazionale. Nato nel 1968 in Svizzera, a Zug, da genitori italiani, è a Pesaro che però si forma, città a cui è legatissimo da sempre e che ha ispirato quasi tutta la sua produzione. Il suo impegno nelle arti figurative viene subito notato, tanto che nelle sue ultime mostre ha ottenuto il plauso di diverse voci significative. Eccone alcune.
Chiara Voltarel: “Leoni ci costringe ad una nuova visione dello spazio”
Chiara Voltarel, storica dell’arte e ricercatrice, ha avuto modo di avvicinarsi all’opera di Leoni, studiandola e cogliendone i più reconditi significati: “Leoni con le sue opere supera l’astrattismo, il neoplasticismo, supera lo spazialismo e ci costringe ad una nuova visione. – scrive Voltarel – Con quella barra, indica la volontà di andare oltre la superficie, senza però rinunciare al campo d’azione artistica simboleggiato proprio dallo spazio della tela. Per questo si può parlare di una rinnovata classicità: se infatti classicità significa la capacità di ridurre la realtà, dell’arte e della vita, a unità, nel suo fare artistico troviamo questo intento. Alla ricerca della novità, interpreta la modernità senza per questo abbandonare la forma”.
Ciò porta alla conseguenza di attirare il pubblico, o chiunque si imbatta nelle opere sia pittoriche che scultoree di Davide Leoni. “L’osservatore viene catturato – continua Voltarel – si inoltra in un’avventura, in un mondo sconosciuto, un mondo che può essere esplorato solo da chi ha il coraggio di andare oltre quella barra, da chi, con tutte le forze, non fisiche ma intellettuali, vuole superare l’ostacolo. Oltre quella barra si rivela un’entità, che è fatta di idee, emozioni, sentimenti, una dimensione trascendentale che esalta l’uomo”.
Vitaliano Angelini: “L’osservatore è coinvolto nel divenire dell’immagine”
Grande stima per Davide Leoni mostra di avere anche Vitaliano Angelini, artista di spicco nel panorama dell’arte contemporanea italiana e anch’egli marchigiano (Angelini è infatti originario di Urbino). Secondo Angelini, nelle opere di Leoni “L’osservatore, catturato all’interno del quadro, è coinvolto nel divenire dell’immagine e finisce per trovarsi al centro di uno spazio la cui prospettiva multipla lo rende ambiguo”.
Una vera e propria metamorfosi, insomma, uno scambio di energie tra chi osserva l’opera e l’opera stessa. “Come se lo spettatore perdesse ogni riferimento concreto – specifica Angelini – come se non avesse più radici e vivesse nel vuoto della percezione”.
Ma non è solo la concezione dello spazio che si sfalda. Lo fanno anche quella del tempo e del luogo: “Diviene vano l’estremo tentativo dell’artista di definire anche in termini fisici un ipotetico orizzonte. Si è perso ormai ineluttabilmente il senso del tempo e quindi anche della storia”.