Come avviene il processo di refrigerazione nelle celle frigorifere?

Il processo di raffreddamento all’interno delle celle frigo si basa sul raffreddamento di un fluido attraverso l’evaporazione di un liquido refrigerante. Il funzionamento è garantito dal circuito frigorifero, che include l’organo di laminazione, il condensatore, l’evaporatore e il compressore. Le temperature che devono essere raggiunge variano in base al tipo di prodotto che deve essere conservato, in ambito alimentare ma non solo: si pensi, per esempio, ai fiori. Le celle frigo non sono gli unici dispositivi che vengono adoperati per la refrigerazione industriale e commerciale: tra gli altri ci sono i banchi frigo delle gelaterie, dei bar e delle pasticcerie, oltre a quelli per i supermercati. Non vanno dimenticati, poi, i frigoriferi che vengono adoperati all’interno delle cucine industriali e che includono anche le celle di fermalievitazione e le celle di stagionatura.

Che cos’è la refrigerazione

Attraverso i motori delle celle frigorifere è possibile fare in modo che la temperatura dei fluidi si riduca; questa è la refrigerazione, a cui si ricorre per la conservazione temporanea di merci che altrimenti rischierebbero di deteriorarsi, giungendo a temperature che possono toccare i 60 gradi sotto zero. Come è facile immaginare, l’applicazione della refrigerazione nel settore dell’industria alimentare risulta particolarmente delicata e importante: è grazie ad essa che è possibile allungare il tempo di conservazione degli alimenti, mantenere inalterate le loro proprietà organolettiche e soprattutto contrastare la proliferazione batterica.

Le temperature

La definizione della temperatura da impostare varia a seconda del tempo di conservazione e dalla tipologia di prodotto. Nella maggior parte dei casi, comunque, si va da 1 grado sotto zero a 8 gradi. Deve essere chiaro, ad ogni modo, che le migliori celle frigorifere industriali non si limitano a raffreddare gli alimenti, ma tengono sotto controllo anche tutti gli altri aspetti che potrebbero avere delle conseguenze sulla loro conservazione: per esempio

l’umidità relativa
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Cos’è il germogliatore e come si usa: consigli pratici

Semplice da utilizzare e dal volume generalmente poco ingombrante, il germogliatore è uno strumento estremamente utile in cucina, perché consente di far germogliare tantissime tipologie di semi che – una volta sviluppati – possono essere usati nella preparazione di tantissimi tipi di piatti, come zuppe fredde e calde, insalate, panini, risotti e tanto altro. L’importante è non cuocerli, perché in tal caso perderebbero moltissime delle loro proprietà.
Il germogliatore è caratterizzato – a seconda del modello che si sceglie – da uno o più ripiani forati in plastica, impilati uno sull’altro, destinati a ospitare i semi che germoglieranno. Ogni ripiano può essere utilizzato per una diversa tipologia di seme e questo consente di coltivare contemporaneamente germogli differenti, come soia, lenticchie, piselli, ma anche rucola, broccoli e barbabietole. I cestelli svolgono un ruolo molto importante per lo sviluppo corretto dei germogli: da un lato agevolano e garantiscono una corretta aerazione in tutto il contenitore, dall’altro permettono all’acqua in eccesso di defluire, evitando così ristagni di acqua ed eventuali muffe, che comprometterebbero la vita e lo sviluppo dei germogli.

Esistono varie tipologie di germogliatori. Come anticipato sopra, ci sono quelli monocestello – che consentono di coltivare una tipologia di seme per volta – e quelli con più cestelli sovrapposti. Ci sono quelli in plastica e quelli in terracotta, quelli manuali e quelli elettrici, che offrono ulteriori funzionalità.

Se iniziate a coltivare per la prima volta, può bastare anche un semplice germogliatore da 15-20 euro come quelli in vendita su questo sito: una soluzione ideale per chi comincia e coltiva germogli in modo amatoriale, per uso domestico saltuario. Qualora vogliate, invece, coltivare grandi quantità di semi a livello semi-professionale, è possibile acquistare un germogliatore elettrico, che garantisce – in modo automatico – il giusto livello di calore e umidità.

Come funziona il germogliatore?

Utilizzare il germogliatore è molto più semplice di quanto possa sembrare. Innanzi tutto, prima di ricorrere a questo attrezzo, occorre mettere i semi in ammollo per 12 ore circa (o secondo quanto riportato nella confezione del prodotto acquistato). Trascorso questo tempo, bisogna sgocciolarli e sistemarli all’interno dei cestelli del germogliatore. Da questo momento inizia il processo di germogliatura; per garantire il meglio ai semi occorre accertarsi che siano ben illuminati, ma senza esporli alla luce diretta del sole o a fonti di calore eccessivo, che tenderebbe a bruciarli ancora prima del loro sviluppo.
Per garantire la loro crescita sarà sufficiente nebulizzare dell’acqua con uno spruzzino una volta al giorno e – nei periodi più caldi come questo – due volte, una al mattino e una alla sera.

Nell’arco di qualche giorno (questo dipende sempre dal tipo di seme) inizieranno a trasformarsi in germogli: il seme si aprirà e lascerà uscire prima una piccola radice e poi le prime foglie della piantina. A questo punto è già possibile raccoglierli e consumarli nei piatti.

In linea generale, per i semi di soia occorrono mediamente tre giorni per avere dei germogli belli e pronti all’uso, per il trifoglio ne occorrono circa cinque e la tempistica varia da caso a caso, in base alla tipologia di pianta scelta.

Ma perché utilizzare i germogli in cucina?

I germogli sono sfiziosi, gustosi al palato e dal sapore estremamente delicato, ma soprattutto sono decisamente benefici per l’organismo. I germogli, infatti, racchiudono al loro interno il nucleo centrale della pianta contenente vitamine, sali minerali e tutte sostanze fondamentali per lo sviluppo del vegetale.

Consigli e accortezze utili per usare al meglio il germogliatore

L’uso di questo attrezzo – come anticipato sopra – è piuttosto semplice, tuttavia occorre seguire alcune attenzioni per evitare che i semi possano marcire. Qualora l’irrigazione con lo spruzzino risultasse eccessiva per le reali necessità dei semi, tenderà a formarsi uno strato d’acqua sul fondo dei vassoi. In tal caso, è raccomandato far defluire bene l’acqua dal contenitore inclinando leggermente i cestelli per agevolare la fuoriuscita del liquido. In alcuni casi è necessario provvedere a svuotare la base del germogliatore per accertarsi che tutta l’acqua in eccesso venga effettivamente eliminata.

Eliminare eventuali pericoli

In alcuni casi, si sono verificati degli episodi di salmonella ed e.coli, due batteri estremamente pericolosi, ritrovati in alcune confezioni di germogli venduti al supermercato. La causa della proliferazione di batteri di questo tipo è legata al caldo e all’umidità, ma anche alle condizioni igieniche: molto dipende, infatti, da come vengono coltivati, maneggiati, conservati e confezionati i germogli. Incredibilmente, è più facile trovare batteri nei sacchetti venduti dei supermercati che nelle coltivazioni casalinghe, che sono (o almeno dovrebbero essere) controllate frequentemente e da vicino.

Ma niente paura! Per impedire la proliferazione di nemici potenzialmente pericolosi, basta fare attenzione alle condizioni igieniche dell’ambiente in cui si sistema il gemogliatore. L’attrezzo deve essere pulito, prima di toccare i germogli occorre lavarsi bene le mani e bisogna garantire la giusta aerazione all’ambiente in cui si trova l’apparecchio.

NEUROFEEDBACK: FUNZIONA DAVVERO?

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In cosa consiste il neurofeedback? Il neurofeedback si fonda sulla capacità del cervello di regolare le proprie funzioni e di migliorare con l’apprendimento. Create negli Stati Uniti circa 30 anni fa, le tecniche che sfruttano i risultati delle indagini neurologiche (neuro – feedback, appunto) condotte principalmente tramite elettroencefalogramma, permettono la definizione di percorsi ad hoc per ogni individuo.

Esaminare le onde cerebrali è possibile attraverso uno schermo che visualizza la propria attività elettroencefalografica. Ciò che viene monitorato e la terapia creata di conseguenza da medici e psicologi, consente all’individuo di apprendere come gestire ogni aspetto della quotidianità in modo ottimale per autogestirsi rendendo le proprie onde cerebrali più stabili.

A COSA SERVE IL NEUROFEEDBACK?

Molte ricerche sul neurofeedback hanno portato alla luce la sua efficacia nell’aiutare le persone affette da varie patologie, soprattutto l’ADHD, l’ansia , l’epilessia, la depressione; gli esercizi basati sul neurofeedback risultano estremamente efficaci anche per combattere i disturbi relativi al sonno e le cefalee, con un grande effetto benefico anche nel trattamento dell’autismo.

Abbiamo visto precedentemente a cosa serve il neurofeedback e per quali patologie è principalmente utilizzato. Ora analizziamo il fatto che oggigiorno vengono dati farmaci a pazienti senza rendersi conto degli effetti collaterali e delle dipendenze che ne conseguono. Ed è proprio qui che entra in gioco il neurofeedback che risulta essere un’alternativa valida alle terapie “tradizionali”, essendo anche privo di effetti collaterali ed in grado di aiutare molte persone affette da varie patologie.

COME FUNZIONA?

La gestione dei neurofeedback funziona in maniera molto semplice: un individuo è seduto davanti uno schermo ed osserva i propri segnali fisiologici; le risposte (feedback) ottenute in questa maniera gli permettono di controllare il modo di reagire del proprio cervello a determinati stimoli.

Spesso le terapie basate su neurofeedback vengono paragonate alla meditazione, in quanto l’individuo osserva attraverso lo schermo l’attività del proprio cervello e il continuo oscillare dei grafici aiuta a rilassarsi.  La terapia con neurofeedback non è invasiva, non utilizza farmaci ed è priva di effetti collaterali. È noto che porti benefici psicologici, comportamentali, di apprendimento, con grandi miglioramenti nella vita di tutti i giorni.

Per ulteriori approfondimenti, esiste anche il sito dell’International Neurofeedback Organization, raggiungibile qui: https://www.isnr.org/

Big Five: quali sono i cinque animali africani per eccellenza

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In Africa alcuni dei più grossi animali caratteristici della Savana e del sudafrica sono chiamati Big Five, ovvero i cinque grandi. Questo è un termine molto conosciuto fra gli amanti degli animali, che spesso si trovano ad organizzare safari in Tanzania proprio per andare alla scoperta dei Big Five Africani, eppure questo è un termine sconosciuto ai più.

In questo articolo vogliamo sia approfondire le origini di questo termine, purtroppo per niente felici, e quali sono gli animali appartenteni a questo gruppo.

Origine del termine Big Five

Risulta difficile comprendere da quando si sia iniziato ad utilizzare questo termine, ma di sicuro raggiunge il suo apice fra gli anni 800 e 900, quando la caccia in Africa era un evento praticamente normale. Il termine deriva infatti da Big Five Game, ovvero una sorta di competizione che consisteva nel cacciare i cinque più grossi e pericolosi animali del sud africa, così da poter addobbare la propria dimora con i trofei di caccia.

Il termine si cominciò ad utilizzare proprio nei parchi Sudafricani, ma con il tempo le competizioni si diffusero in tutto il territorio africano e dei suoi parchi, dalla Tanzania allo Zimbawe. Solo recentemente si è cercato di fermare questo fenomeno, a partire dagli anni 80 circa, con la creazione dei Parchi Nazionali e di salvaguardia delle specie.

Il termine utilizzato per descrivere la competizione, o meglio la sfida, fra cacciatori e poi stato adottato per identificare i 5 animali più grandi dell’Africa. Con il tempo è poi nato il termine Big Seven, al quale si vanno ad aggiungere la balena e lo squalo bianco, difatto andando a completare la lista degli animali più difficili da cacciare/catturare.

Chi sono gli animali?

Elefante

Quando si è pensa all’africa uno dei primi animali che viene in mente è sicuramente l’elefante, il più grande mammifero vivente. L’elefante africano, che si differenzia da quello indiano principalmente per le maggiori dimensioni, è stato uno degli animali più cacciati e che ancora oggi molti cacciatori di frodo cercano di uccidere sia per mera soddisfazione personale che per rivendere il preziosissimo avorio di cui sono formate le zanne.

Leopardo

Il Panthera pardus, noto più comunemente come leopardo, è uno dei più begli animali del mondo, molto simile al giaguaro per via del manto fulvo costellato da rosette. Il leopardo è ampiamente diffuso in gran parte delle zone africane ed è presente in numerose specie diverse. Nonostante questo è stato recentemente classificato come animale la cui specie è vulnerabile, a causa della drastica diminuzione di esemplari.

Leone

Il leone africano, noto come Panthera Leo, è uno dei predatori mammiferi più grandi al mondo, nonché uno degli animali più caratteristici dell’africa, ragion per cui è noto come “Il Re della Savana”. Oggi purtroppo i leoni sono in serio pericolo e se ne contano davvero pochi, proprio a causa dei cacciatori di frodo e della riduzione continua del suo habitat naturale

Rinoceronte

Quarto big five è il rinoceronte, o meglio una specie nota come rinoceronte nero (Diceros Bicornis), il quale è principalmente diffuso nelle aree dell’africa occidentale e orientale. Le specie nera e bianca sono difficilmente riconoscibili fra loro, ma questo non ha fermato i cacciatori di frodo a portare questo splendido animale africano quasi a rischio estinzione. Il suo stato di conservazione è infatti critico ed è uno degli animali più a rischio.

Bufalo

E’ infine il turno del Bufalo nero, noto con numerosi altri appellativi, quali cafro, africano o del Capo, uno dei più grossi bovini, che può raggiungere lunghezze anche di 250 cm e pesare fra i 700 e i 1000kg. Il bufalo cafro è uno degli animali più pericolosi e aggressivi, contraddistinto da una grande forza e potenza, il quale riesce facilmente a difendersi anche dall’attacco dei leoni, grazie alle corna di cui è provvisto.